Per quanto esistano prove
che il DNA controlli in larga misura la biochimica cellulare, non è comunque
evidente, dimostrabile, che tutti i processi organici siano riconducibili
primariamente ad eventi biochimici. Se è vera, ad esempio, a livello di particelle
elementari, l’attività modulante dei bosoni, a livello cellulare sarebbe
davvero improponibile ridurre la vita ad una struttura spiraliforme che, per
quanto ricca ed antica come quella del DNA, potrebbe quasi considerarsi un
epifenomeno minuscolo, rispetto a quello che è l’intreccio complesso e vasto
dei segnali vitali.
L'inadeguatezza della teoria
genetica in auge è particolarmente evidente nei fenomeni embriogenetici.
"In embrioni umani la divisione, caratteristica della specie, continua
anche se il DNA è asportato chirurgicamente, o inattivato chimicamente."
(J. Wells, 1980) E comunque la sequenza delle differenziazioni cellulari, che
richiede DNA, non verrebbe ad essere spiegata: poiché tutte le cellule
dell'organismo contengono geni identici, i loro differenti destini dovrebbero
essere determinati da qualche altro fattore.
Questo fattore non è neppure
il citoplasma, il quale infatti, pur centrifugato prima della divisione
segmentaria iniziale, non interrompe il suo normale sviluppo.
Molti ricercatori parlano
perciò di una qualche sorta di "controllo corticale" in grado di
influenzare morfogenesi, regolazione genica e differenziazione cellulare. Raven
('58) e Curtis ('60,'63) ad esempio, avevano osservato, dopo aver centrifugato
il citoplasma di una cellula embrionale, il suo riorganizzarsi spontaneo in
rapporto a segnali che sembravano provenire dalla membrana cellulare.
Teoricamente questo segnale esterno, questo "qualcosa", potrebbe
essere uno specifico campo biologico, analogo (ma non identico) a quello
elettromagnetico, un qualcosa che moduli l'attività dei geni, organizzi gli
spazi intercellulari, e controlli o influenzi la morfogenesi.
D'altronde non possono
provenire dal DNA quei comandi misteriosi che trascinano i centromeri nella
migrazione polare del fuso mitotico. I microtubuli poi, che vanno a formare il
fuso, sono anch’essi indipendenti dal DNA, e sembrano accrescersi con materiali
esterni al corpo, ex-novo! ("Biologia molecolare della cellula" Scientific
American Books, 1986, pag. 780) Sappiamo ancora che la cellula demolisce queste
strutture cromosomiche nel corso dell'intercinesi (nel periodo cioè tra la
prima e la seconda meiosi). Chi allora, si chiede J. Sharon, assicura la
necessaria continuità individuale alla cellula? Se i cromosomi ridotti in
briciole, sono in grado di ricostruire nuovamente al momento della duplicazione
le strutture cromosomiche, deve esistere nella semplice cromatina una sostanza
"più cosciente" dei cromosomi stessi. Se un ordinatore può essere
smontato e poi successivamente ricostruito…è necessario l'intervento di
"qualcuno" per riunire questi pezzi in un ordine preciso…" (J.
Sharon "Lo spirito, questo sconosciuto" Ed. Armenia, 1979, pag. 107).
L'identità di questo
"qualcuno" sembra, da quanto detto, spaziare oltre i limiti della
biochimica, coinvolgendo il campo più ampio e sottile della biofisica.
E c'è stato infatti un
filone di ricerca, molto scomodo per i paradigmi rigidi dell'occidente, e che
ha ormai almeno 80 anni, che ha tentato di comprendere la valenza
dell'"insieme", dei campi magnetici, delle radiazioni ultradeboli, e
ha tentato con successo la verifica sperimentale. Già negli anni venti un
istologo russo, A. Gurvith, scopriva "radiazioni mitogenetiche" sulla
banda dell'ultravioletto e sosteneva che erano parte di un campo ben
organizzato che esisteva dietro ogni fenomeno vitale. Nel 1948 G. Stromberg,
nel suo libro "The soul and the universe" cita i lavori di Gurvith e
quelli di H. Driesh, H. Spermann, P. Weiss, e De Beer. Stromberg postula
anch'egli una specie di campo elettromagnetico autonomo che organizza
l'organismo vivente. Nel 1967, a dispetto dello scherno occidentale, V.
Kaznacheyev, S. Shshurin e L. Mikhailova, riproducono con successo
l'esperimento di Gurvith. Nel 1972 B. Tornsor è in grado di detettare deboli
segnali luminosi dalle piante e da cellule singole. Scopre soprattutto che
questi non sono fenomeni casuali ma che esiste una correlazione tra queste
deboli forme vibratorie di natura elettromagnetica e le condizioni patologiche
delle piante.
Altrettanto interessante era
il fatto che questi segnali evidenziavano una condizione patologica molto prima
che la pianta stessa desse segni visibili della patologia. Ma già due anni
prima S. Ostrander e L. Schroeder avevano pubblicato il consuntivo di alcuni
scienziati del centro spaziale sovietico del Kazakistan: questi segnali
elettromagnetici non sono fenomeni casuali, quanto piuttosto manifestazioni di
un organismo completo, unito.
Le ipotesi formulate dai
fisici trovano dunque altri riscontri in biofisica. Come nel microcosmo delle
particelle infinitesimali sono i bosoni a modulare i fermioni, così a livello
umano l’aspetto che si evidenzia è quello di un "corpo di energia",
di un "corpo endoplasmico", che agisce come un'entità unica e come
un'unità questo corpo di energia emana i suoi campi elettromagnetici e
costituisce la base dei campi biologici….Esiste un rapporto stretto tra il
corpo fisico e il corpo di energia (tra materia atomico-molecolare e stato
plasmico dei viventi).
("Psychic discoveries behind the iron
curtain" Ostrander, Schroeder, N. Y. Prentice Hall,1970, pag. 213, 214).
Il 1972 , stavolta in America, vedeva
anche la pubblicazione di un testo che sembrava parallelo, nei risultati, ai
lavori degli scienziati russi: "The fields of life" del prof. Harold
Saxton Burr avrebbe meritato ben altra risonanza, ma forse i tempi (e …le forze
del capitale) non erano ancora maturi. La sua "teoria elettrodinamica
della vita", frutto di 30 anni di esperimenti e di misurazioni dei campi
biologici con un sensibilissimo voltometro a vuoto, identificava una matrice
elettromagnetica che dirigeva i fenomeni vitali. Anche Burr scopriva che lo
stato di salute poteva essere determinato diverso tempo prima, attraverso lo studio
di questi campi. Anni più tardi R. O. Becker (Syracuse) e D. H. Wilson davano
conferma dei dati del prof. Burr. Il dott. Ravitz, che collaborò con Burr,
sostenne che la mente era in grado di influenzare il voltaggio di questi campi,
e che questa matrice elettromagnetica poteva essere il legame tra il fisico e
il mentale.
A cura di:
Christian Casella
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